Prima di iniziare a parlarvi del Santo Graal ci tengo a precisare che il contenuto di questo articolo è in gran parte ripreso da alcune mie vecchie pubblicazioni scritte per altri siti dove io e Alex Pac abbiamo affrontato il tema del Sacro Graal sia per la cultura pop che per quella religiosa.
La ricerca di quest’oggetto leggendario dai poteri straordinari fin dal Medioevo ha scatenato la fantasia popolare, incendiando i cuori di molti scrittori che ne hanno narrato il suo mito attraverso saghe e poemi cavallereschi. È stato cercato in ogni dove, anche perché i suoi poteri, secondo la leggenda, donerebbero vita eterna e conoscenza. Tuttavia non tutti i mortali saranno in grado di raggiungere il Graal, ma solamente coloro che sono puri di cuore. Nel corso del tempo ha assunto diverse forme, lo ritroviamo spesso sotto forma di calice per poi divenire una coppa e infine un libro.
Ma che cos’è davvero il Santo Graal? È un oggetto materiale o in realtà rappresenta qualcos’altro di più spirituale?
Il Sacro Graal è un oggetto realmente esistito?
Il Santo Graal ha ispirato numerosi cult della storia del cinema quali Indiana Jones e l’Ultima crociata o della letteratura come Gli assassini del Graal di Paul Doherty. Ma domandiamoci: per quanto al centro di numerose leggende e racconti fantastici, esiste la possibilità che il calice di Cristo sia stato davvero un manufatto fuori dal comune? Dando per assodato che sia esistito così come è esistito Cristo nel momento dell’ultima cena, non resta che chiedersi di cosa fosse fatto.
Quali lo sono le fattezze del Calice di Cristo?
Un metello misteriso…
O almeno cosi riporta la testimonianza di un certo Arnolfo, un vescovo franco che intraprese un viaggio in Palestina, secondo cui la leggendaria coppa si trovò per un certo periodo in Terra Santa in una chiesa tra la basilica del Golgota e il luogo del Martirio.
Il calice è d’argento, ha la dimensione di una pinta gallica e ha due maniglie lavorate su ciascun lato…
Fin qui niente da eccepire, era un calice “d’argento” di medie dimensioni.
Ma, arriando al dunque, si trattava si semplice metallo?
Un’altra descrizione del calice di Cristo ci è fornita da Anna Katharina Emmerick, nota mistica cattolica del XVIII secolo che ebbe in dono delle visioni sulla vita di Gesù Cristo, tra cui una descrizione del famoso calice:
Anna Katharina Emmerick: “I due Apostoli (Pietro e Giovanni) ricevettero da Serafia, una pia donna amica della sacra Famiglia, tra altri doni, anche il calice che sarebbe stato servito al Redentore per l’istituzione dell’Eucaristia. Era un calice meraviglioso e formato di un metallo misterioso. Era rimasto, per molto tempo, tra gli arredi preziosi del Tempio. Non lo si era mai potuto fondere, perché di un metallo sconosciuto. Venduto dai sacerdoti a un antiquario, era stato da lui rivenduto a Serafia. Era già servito molte volte al Redentore per la celebrazione delle feste, ma dacché fu ceduto ai due Apostoli per Lui, esso rimase sempre in possesso della Comunità cristiana. Il calice conteneva un vasetto ed era ricoperto da un piattino rotondo. La parte inferiore del vasetto era di oro puro; vi si ammiravano artistici fregi, tra i quali una serpe e un grappolo di uva; su di esso erano incastonate inoltre pietre preziose. Il calice era stato di Melchisedec (misterioso personaggio dell’Antico Testamento, che in Genesi 14, 18 presenta come re e sacerdote dell’Altissimo) e di Abramo; era rimasto dentro l’arca di Noè.
Cos’ scrisse, rigurado al Graal, Alex Pac in uno de suoi articoli dedicati alla cultura catto-nerd:
“[…] se partiamo dal presupposto che quanto sostenuto dalla Emmerick possa corrispondere al vero, abbiamo sul calice di Cristo a disposizione le seguenti informazioni: era costituito di un metallo misterioso, indistruttibile, che nessuno era riuscito a fondere, forgiato in un’epoca remota antidiluviana, ma forse nell’aspetto sembrava d’argento… Cos’altro vi ricorda? Beh, non so a voi, ma a me ricorda proprio lui, l’argento di Moria: il mithril!!!“
Le origini del mito del Sacro Graal
La versione classica del Santo Graal che tutti abbiamo in mente è quella della coppa con la quale Gesù celebrò l’Ultima Cena e nella quale Giuseppe d’Arimatea raccolse il sangue dal costato del Cristo crocifisso. Ma questa versione del Graal risale al 1202, quando Robert De Boron la inserisce nel poema Joseph d’Arimathie, fondendola con il mito celtico del calderone. Il calderone, infatti, nelle leggende celtiche come quello del dio Dagda era simbolo dell’abbondanza che dispensa cibo inesauribile e conoscenza infinita, ma anche simbolo di resurrezione nel quale si gettano i morti perché resuscitino il giorno seguente. Il calderone dunque nutre i guerrieri celtici così come il sangue contenuto nel calice nutre la fede dei cristiani e li rigenera a una vita nuova… Da allora in avanti la leggenda del Graal si legherà indissolubilmente con il calice di Cristo, divenendo un simbolo cristiano. Dunque, il mito del Graal ha radici molto più arcaiche del Cristianesimo e nasce, appunto, dalla fusione di antiche leggende presenti in numerose culture.
L’origine del termine “Graal” infatti si fa risalire al termine latino Gradalis, che significa scodella o vaso, questi oggetti nella mitologia classica rappresentavano la potenza benefica delle forze superiori, basta pensare alla Cornucopia.
Intorno al 1210 il tedesco Wolfram Von Eschembach, nel poema Parzifal, parte del ciclo arturiano, fornisce una nuova interpretazione sulla natura del Santo Graal. Non è più una coppa ma una pietra purissima, chiamata Lapis exillis, questa pietra dai poteri miracolosi donerebbe perfino l’immortalità. Il termine lapis “exillis” è stato interpretato come “lapis ex coelis”. Ovvero “pietra caduta dal cielo”.
La pietra caduta dal cielo
Alcuni hanno accostato la lapis exillis alla Lia Fàil o ”pietra del destino” che secondo un’antica leggenda irlandese un popolo di semidei, detti Thuata di Danan, avrebbero portata con sé dalla loro prima dimora, il cielo. Eschembach appunto sostiene che la pietra era uno smeraldo caduto dalla fronte di Lucifero e portato a terra dagli angeli rimasti neutrali durante la ribellione. Gli Angeli proclamarono Tirutel signore del Regno del Graal e posero la pietra nelle mani di una donna sua figlia Schoysiane, poiché il Graal poteva essere toccato solo da una vergine. Il figlio di Tirutel Amfortas, divenuto nuovo re, venne sedotto dalla strega Kundry e cadde con lei nel peccato rimanendo gravemente menomatogravemente menomato. La sua menomazione si riversò anche sul suo regno trasformandolo in una terra arida e desolata. Sarà il giovane e puro Parzifal, anch’esso discendente del vecchio re Tirutel, e cavaliere della tavola rotonda, a guarire la menomazione di Amfortas e salvare e redimere l’intero regno divenendo nuovo re del Graal.
Nel romanzo di Wolfram Von Eschenbach il Graal diviene simbolo eucaristico e i suoi guardiani, i Templari, vivono nutrendosi unicamente della sua energia; solo chi conosce una totale purezza morale può portarla con sé e, durante il Venerdì Santo, una colomba posa sulla pietra un’ostia consacrata, quell’ostia conferisce al Graal il suo immenso potere.
Verso il XIII secolo, la sua concezione cambia e il Graal viene addirittura associato a un libro che scrisse Gesù stesso e che poteva essere letto solamente da chi era in grazia di Dio.
Un tesoro antidialuviano
Come confermato dalle visioni di Anna Katharina Emmerick, il Graal era costituito di una materia sconosciuta caduto dalla fronte di Lucifero dopo la ribellione, e perso da Adamo dopo il peccato originale, per poi essere recuperato dal figlio Set e perso nuovamente, salvato da Noè durante la catastrofe detta “diluvio” e successivamente utilizzato da Melchisedec per benedire Abramo e Sara. Fu poi posseduto da Mosè prima di scomparire di nuovo. Riapparve sulla terra quando un angelo portò l’oggetto sacro a San Gioacchino prima del concepimento di Maria, ma il sacerdote del tempio vendette il sacro oggetto a un antiquario. Venne recuperato dalla Veronica per essere adoperato da Gesù nell’ultima Cena.
Ma la pietra caduta dal cielo è riconducibile anche alla pietra nera custodita nella Ka’ba della Mecca, che secondo la tradizione islamica fu fatta calare da Allah dal paradiso sulla terra. La pietra durante il diluvio universale fu messa in salvo da Noè per poi essere recuperata da Abramo nei pressi del luogo dove sarebbe sorta la Mecca.
Il più antico tesoro
Si tratta in ogni caso di un qualcosa che fu perduta in seguito alla fine di un’età d’oro, un oggetto reale o simbolico che rimanda a uno splendore passato. Possiede caratteristiche simili al Graal, quindi capaci di mantenere in vita, dare conoscenza e di risanare la natura umana, un altro oggetto leggendario: la Pietra filosofale, che ritroviamo in parte con le sue peculiarità nella saga di Harry Potter e nel manga/anime Fullmetal Alchemist, simbolo dell’alchimia per la sua capacità di poter trasmutare in oro i metalli vili. L’oro era l’unico metallo conosciuto in grado di restare inalterabile nel tempo. Dunque “sostanza primigenia” che rappresenterebbe la condizione immortale e primordiale perduta. Non a caso è una caratteristica di gran parte dei metalli leggendari, dall’oricalco all’adamantio, di cui il Mithril della Terra di Mezzo – leggero ma indistruttibile – è la sintesi migliore. Sacro Graal o Pietra filosofale, in ambedue i casi è un mezzo per risanare l’uomo e riportarlo all’immortalità o alla condizione idilliaca adamitica, una nostalgia dei primi tempi che non soltanto testimonia un disagio reale, quello della miseria umana, ma che quasi è in grado di comprovare che la storia dell’umanità fu segnata da un momento di perdita o rottura ancestrale.
Cosa rende l’uomo immortale
Nella tradizione cristiana la pietra dell’immortalità non è altro che Gesù Cristo stesso, ossia la pietra angolare su cui è stata costruita la Chiesa di Dio. E sopra di Lui ci sono altre “pietre vive”, che rappresentano tutti i credenti uniti tra loro per innalzare il tempio santo del Signore: Efesini 2, 20-22; 1 Pietro 2, 4-5.
Ancora, per San Paolo la pietra spirituale che seguiva e abbeverava gli ebrei nel passaggio nel deserto era l’immagine di Cristo (1 Cor 10, 1-4).
È giusto dunque dire che il Santo Graal assume sia un carattere spirituale che materiale. Esso infatti rappresenta il più grande dono che Dio fa all’uomo: ovvero il suo Spirito. Lo Spirito Santo che attraverso il sacrificio di quel Cristo disceso sulla terra mandato dal Padre, discende sull’uomo e solo per mezzo dell’Eucarestia ci rigenera in un corpo e un’anima nuovi, permettendoci di tornare in contatto con Dio.
Inoltre, lo Spirito Santo che discende sull’uomo costituisce l’effetto della redenzione, che con il corpo e il sangue di Cristo ci restituisce lo stato perduto nella caduta. L’uomo che diviene figlio di Dio è relazione con Dio. Questo lo rende immortale, a immagine e somiglianza di Dio. Gesù è la pietra che fu perduta dopo il peccato originale, il leggendario Graal, che come in “Harry Potter e la Pietra filosofale” e come in “Indiana Jones e l’ultima crociata” può essere raggiunto non da chi brama il potere e la conoscenza o teme la morte, ma soltanto da coloro che sinceramente desiderano il bene: stabilire una relazione filiale con Colui che è il principio e la fine di ogni cosa.